Parlo del mio lavoro 1

Mi chiedono cosa rappresenta il
CELLULAVALLO
Il nome farà anche sorridere, ma non ho trovato niente di più adatto. L’alternativa era… Cavallulare! Mi serviva una parola che rispecchiasse il concetto di fusione, di creazione di nuovo dal già visto. Fa parte di una serie di studi di fusione dei colori che, per come sono fatto io, è diventato subito un’occasione per sperimentare e provare a creare qualcosa di interessante unendo non solo i colori, ma le forme di oggetti quotidiani che affollano l’ambiente in cui dipingo, vale a dire, in genere l’Accademia d’Arte Santa Caterina.

Ma cosa significa, per me, il Cellulavallo? Allora, a un primo livello, rappresenta un pezzo degli scacchi, cavallo del set nero, poggiato sopra uno smartphone. È pensato per essere una rappresentazione realistica ed efficace di due oggetti, come una natura morta.

A un secondo livello, similmente al resto della serie, è un esperimento di fusione. Consistevano nel vedere fino a che punto oggetti diversi potevano trovare punti di contatto di colori, texture e forme fino a diventare un oggetto unico. Da quel punto di vista non è nemmeno il più riuscito, che considero invece il teschiorizzatore, dove sia la forma sferica sia i colori uniscono in modo soddisfacente vaporizzatore di plastica e teschio di capra.
A un terzo livello rappresenta la negatività (colori scuri) e irrazionalità (cavallo, animale spesso selvatico anche se addomesticato o addomesticabile) che molti vedono nella tecnologia (aka lo smartphone). I due oggetti in relazione mi fanno pensare alle pulsioni che si scatenano con messaggi, chiamate, foto, social media. Fenomeni come cyberbullismo, esibizionismo, ricatti, violenze psicologiche, revenge porn trovano la loro matrice comune in uno strumento così comune eppure così potente. Infine ho voluto lasciare per ultimo il tema del riflesso (che sia la verniciatura lucida del cavallo o lo schermo spento dello smartphone). Tutta questa negatività è, in fondo, irrazionale. Sia perché in sé la malvagità non ha senso di esistere nel quadro di insieme (per ragioni ontologiche), sia perché se guardiamo da dove proviene troviamo che lo schermo è spento. Tutto questo Male archetipico riflesso non è che l’esatta copia di quello che noi stessi ci proiettiamo dentro. Lo strumento è schiacciato da questa immagine ma, se noi togliessimo il pezzo degli scacchi dal dispositivo, scopriremmo che è un normale mezzo di comunicazione, di per sé perfettamente lucido e neutrale come uno specchio o un lago senza onde.

Luca Magorosso

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